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Monica Rea

Gli originali

Corpi bionici,
impiantati in
anime meccaniche
prive di umanità.
Volti identici
fatti in serie
per essere belli fuori
e sembrare belli
anche dentro,
per trasformare
quell’umana insicurezza
in robotica certezza
di piacere.
Senza rughe
e senza espressioni:
immagini di un tempo
che scompare 
per non ricordare
una gioventù passata
che vuol rimanere
aggrappata all’eternità.
Che sogno! 
Che realtà!
Che incubo!
Anche la morte
non è più la stessa
ora che siamo
figli di noi stessi,
che nasciamo come vogliamo,
che programmiamo 
il nostro sesso
e non sappiamo più
essere diversi
né apprezzare quei difetti
che fanno di noi
gli originali.

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Critica in semiotica estetica della Poesia “Gli originali” di Monica Rea

 

Frammentata, la parola della Rea è monito di degenerazione di un’umanità che si scinde dall’armonia del tempo e della natura, che sacrifica il desiderio per il piacere, l’inconscio per la coscienza cieca e pregiudiziale, l’ipseità per la medesimezza e che disprezza il valore della differenza quale alimento stesso dell’identità, della memoria per il riconoscimento di sé, del senso quale spazio d’oltre, fra sé e altro.

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