

GALLERIA DI OPERE IN POESIA E ARTE CONTEMPORANEA
con Critiche in Semiotica Estetica di Fulvia Minetti
Rony Rodolfo Rigacci
Farfalle gitane
Sorrisi senza destino
senza nomi, né cognomi
rubano alla mia tristezza
un gesto di allegria
e questa notte speciale
in cui celebro questa bugia,
farfalle gitane
come istrionici pagliacci
distraggono ironicamente
le mie pene ingannate,
mentre un panno immaginato
rimuove l’impronta
delle tue labbra salate,
della pelle, dei miei occhi
come vetri avvizziti,
perché è così che ti ricordo:
a pezzi.
E in questo strano delirio
dove le mie mani
balbettano senza sosta
insensati scarabocchi,
io mi rendo conto
che non tutto è caduto
dalla mia tasca bucata,
sul fondo c’è ancora
un ultimo sorriso.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Farfalle gitane” di Rony Rodolfo Rigacci
Immaginifica, la parola ironica e dolorosa del Rigacci trova la permanenza, che traccia il movimento sotteso al vanificante divenire formale: l’archetipo che lega le cose e solleva l’attimo dalla fatale gravità della morte. Sulla dondolante melodia delle fuggevoli ed effimere ali di farfalla si disegna l’apertura di un sorriso, la stessa continuità che lega la solitudine spezzata dei frammenti caduti di non senso, la liaison del suono nelle parole in poesia a eliminare lo iato nell’articolazione, la voluta inerziale della traccia di scrittura, tutto a riaprire fra le labbra il grembo di un istante di rinascita.
Il salone del tempo
Nel mio insigne salone
alla cadenza del silenzio
decido di ballare un valzer
con il tuo capriccioso ricordo,
in mezzo a ragnatele sospese
che come rughe del tempo
delineano nell’aria
la mia astratta malinconia,
mentre il tuo nome percorre
gli scalini della mia memoria
e si affollano i ricordi
come invitati attorno a me,
tutto gira inesorabilmente
sul tappeto di polvere
della mia infinita solitudine,
momenti prestati
che non mi appartengono,
davanti ai miei vecchi mobili
che ammirano silenziosi
e ridono per non piangere
perché ho sempre pensato
che anche le cose hanno un’anima,
in questo tramonto della mia vita
in cui provo ancora a sentirti
fra voci già pronunciate.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Il salone del tempo” di Rony Rodolfo Rigacci
Profonda e rituale, la parola del Rigacci è vissuta propriamente nel ritmo, nel riconoscimento memoriale, nell’evento di ripetizione, che è invocazione di un ritorno. È il ritorno del silenzio della presenza, che abita la parola e la sorregge. L’uno è nel due, tuttavia sempre come due, poiché l’uno puro non è mai, non è più. Ogni momento nominale è così un momento secondo. Il presente è salone insigne che letteralmente porta in sé il segno, la vacua eco di ritorno impossibile, eppure vivido in sinestesia.