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Rosy Gallace

Certe volte

Certe volte ti vengo a cercare

nelle sere di pioggia

quando il giorno si chiude

e arriva la notte.

 

Io non credo al destino

quando dici che forse

ho amato solo un’idea.

 

Guardo gli anni

che segnano il viso,

son la somma di tutti i ricordi.

 

Certi giorni ti vengo a cercare

quando il cuore respira più piano.

 

Nel silenzio io sento i tuoi passi,

si allontanano sempre di più.

 

Il mio sogno è finito così.

– Impercettibile presenza di te –

 

Un’alba mi accoglie e mi abbraccia

nel suo fascio di luce che scalda.

 

Le mie mani sono foglie sui rami

quando l’autunno si spoglia

davanti alla sposa.

 

Guardo fuori la vita che scorre,

da lontano una voce mi giunge

come un sogno dolcissimo

in questo giorno che cresce.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Certe volte” di Rosy Gallace

 

Delicata e naturale, la parola della Gallace chiama ‘certo’ ciò che cerne, che separa dal falso il volgersi, secondo verità. La poetessa vive la presenza di un’assenza, finché affida le sue mani al volo caduco delle foglie in autunno, in nigredo a sposare la terra feconda, a lasciar rinascere dal grembo del suolo il neonato sogno d’amore, nella volta veritativa del sole dell’alba.

Fuga dalla città

Me la ricordo quella sera d’estate.

La fuga dalla città, il ristorante sul lago,

Il cielo stellato, la luna e le barche

che si specchiavano sull’acqua.

 

Me la ricordo la musica che arrivava

soffusa e discreta dalle balere

e attutiva il battito dei cuori.

 

Me le ricordo le lenzuola bianche

ricamate come pianure colorate

mentre la luce gialla di una lampada

racchiudeva i sogni in una stella.

 

L’alba arrivò in fretta e ci colse

all’improvviso nudi e smarriti nella

luce che ci abbagliava, sospesi in

un tempo senza tempo, quasi irreale

che sapeva solo di magia.

 

Anche stasera il cielo è stellato.

La luna e le barche si specchiano

nell’acqua, c’è aria di festa e i fuochi

d’artificio colorano l’aria.

 

Ti cerco tra le bancarelle sparse sul viale,

tra la musica dolce che arriva da lontano

e si confonde col vociare dei ragazzi

seduti sulle panchine abbracciati

e innamorati dell’amore.

 

Ti ritrovo nel quadro di un pittore

mentre seduto all’angolo del viale

è intento a spiare gli sguardi indiscreti

dei passanti che si posano indifferenti

a fissare l’eterno di un dipinto.

 

Tutto appare come allora, soltanto

il tempo non è più un alleato, testimone

di una vita e di un amore nascosto

come nido in una nuvola di cielo  

nella cattedrale del tempo.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Fuga dalla città” di Rosy Gallace

 

Narrante, la parola della Gallace vince la dimensione lineare del tempo nella sinestesia, che restituisce la presenza del perduto. Il dipinto interiore della memoria sublima la finitudine all’infinito, affida il divenire dell’istante all’eternità e la materia trascende al respiro sponsale dell’anima.

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