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Sabrina Vanini

Rumore della terra

​

Nel silenzio

che ci avvolge

in una notte di semiluna

l’intrasentire quel rumore

accoglie le nostre ore

nel regno dell’insonnia.

Cosa è mai?

Sarà forse quel bisarcavolo

sfuggito ai libri di storia,

musicante dell’ora sfuggente!

È il coltro del tempo

che seziona

in dolorose zolle

i nostri sogni.

Accorre in aiuto il versoio:

ne rimescola

ardori e speranze.

Tutto tace.

Ci è dato udire il nulla

fruscio atavico

strascinato a fatica

che pulsa

imperterrito

nelle auricole.

È il fruscio

silente

della Terra che ruota

infaticabile

innanzi all’umanità.

È speranza globale.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Rumore della terra” di Sabrina Vanini

 

Con ironica verticalità, la parola della Vanini scandaglia le forme del tempo: quella lineare al taglio doloroso di lama del coltro per l’aratura a ferita e quella circolare all’orecchio del versoio, che rovescia e ascolta e risana la terra, per il seme del senso. La poetessa trova nel rumore rotazionale della terra la memoria immemoriale e archetipica del supporto d’eternità della vita corrente. La vita umana è allora l’insonne e travagliato trascorrere della vita eterna nel corpo, perché la vita eterna non accade, se non nella speranza della figura.

L'attimo postumo

Postumo è quel fievole istante

di un sospiro negato

dalla vita che ruzzola via.

 

Il commiato divino arresta

la pulsante vitalità del cuore

che d’improvviso geme.

 

Atteso da atavico tempo

è l’agognato trapasso,

gesto di attesa disumanità.

 

Glorifica è la dipartita di chi

rintocca l’attimo fatale

ascoltando con incoscienza

l’ultimo profondo respiro.

 

L’esalazione eterna del

corpo, noncurante,

diviene semplicemente

anima magna.

 

Il canto di Orfeo prosegue

all’ombra della lira immortale

che cede le corde

al tempo privo di ritorno.

 

L’attimo è postumo.

Critica in semiotica estetica della Poesia “L'attimo postumo” di Sabrina Vanini

 

Filosofica e mitologica, la parola della Vanini guarda alla brevità della vita in qualità di respiro interrotto alla coscienza e in rimando all’oggetto divino. L’attimo è alito, soffio dell’anima: l’uomo non è se non al desiderio di vita eterna, poiché il presente è transito, presenza di un’assenza. In un trascorrere assentandosi, la vita si iscrive nel teatro trascendentale del corpo, che ne è esibizione figurata, forma a vanire. Il ritmo della parola è ripetizione di vita, è accentus, movimento del canto di un capo orfico già reciso e la tragedia dell’esistenza è già trasfigurazione musicale all’eternità.

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