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Salvatore Munizza

Orride scene

Immagina immense distese lisciate,

Con onde fluenti pettinate dal vento,

Di biondo granturco baciato dal sole

Chiazzato di rosso da sangue innocente.

 

Serpenti di pietra forgiati dall’uomo

Per nidi accoglienti di mamme e bambini

Sventrati a tronconi di nere budella

Da bombe cruenti accecate dall’odio.

 

Nastri ricordo dell’asfalto che c’era

Percorsi obbligati di orrida scena

Di gincane indecenti tra putridi corpi

Lasciati a marcire per ammonimento.

 

Foreste famiglie di alberi cari

Bruciate dal fuoco di guerra violenta

Rivoltate in fretta da mani novelle

E mutate in anonime fosse comuni.

 

Nessuno si illuda che non lo riguardi

Quest’esito truce di pura follia

Oggi guardato su terra straniera

Domani aspettato alla nostra frontiera.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Orride scene” di Salvatore Munizza

 

La quartina truce del Munizza non sublima l’orrore della parola, il nucleo notturno resta fremente, a scuotere la coscienza e il torpore dell’abitudine. Non trova significazione la guerra, è degenerazione dello stato identitario, che nega, con l’esistere dell’altro, l’essere stesso dell’uomo, poiché solo l’alterità è il contenuto sostanziale dell’identità.

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