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Saverio Rosso

Era di festa...

Era di festa, quell’iniquo Natale
sul cuscino di papaveri in fuga
pioniera bordura agli intrecciati binari
appesi nel cielo tra cumuli e cirri 
e l’aroma diffuso al primo albeggiare;
protetto dal tuo amorevole timbro
raccomandazioni materne nel prolungato saluto 
un bacino su guancia, il mio sincero tributo:
transeunte affresco di labile bioccolo
ubriacato dal vento, come smarrita facella
verso l’oscuro mantello. 
Intento a indossar d’un corifeo i panni
avvampato fromboliere nell’imponente fortino,
ma ignaro…
affondava la falce, l’infame destino
annunciando lacrime e soffocante dolore 
una lama rovente nel diafano cuore.
Mai più cinabro sulle tue labbra
e temperata matita nel radioso occhieggiare 
deturpata per sempre su quel gelido asfalto.
Vorrei scovare del tempo una latebra
duellare coi granuli della malefica ampolla
soverchiando di Chronos i duri precetti
non dirti “a domani” che più non hai visto.

​

(A Ferdinanda Carena. Per sempre resterai ineguagliabile faro e guida dei miei passi)

          

​

Critica in semiotica estetica della Poesia “Era di festa...” di Saverio Rosso

 

Profonda ed elegante, la parola del Rosso sublima il dolore ineffabile dell’impermanenza dell’oggetto materno d’amore e di tutte le cose, della sicurezza invincibile del contenimento primario, a vanire nel tempo lineare, a sorreggere, tuttavia, in qualità di senso, l’eterno ritorno di ciò che nell’altro si è.

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