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Sebastiano Nicolò Maria Mazzini

Un poeta alla sua musa

Il tuo posto non è il paradiso

corromperesti gli angeli celesti.

Il tuo posto non è l’inferno

lo distruggeresti.

Il tuo posto non è il purgatorio

ma quell’altra montagna

con le cime d’avorio

dove Apollo ti accompagna.

 

O musa che stai sul Parnaso,

ti prego, ispira il mio canto

che è ormai evaso,

spandi su di me il tuo manto,

dammi le tue parole

e la tua voce,

illuminami come il sole

e fammi tuo portavoce.

          

Critica in semiotica estetica della Poesia “Un poeta alla sua musa” di Sebastiano Nicolò Maria Mazzini

 

Vocativa, invocante, la parola del Mazzini riconosce la sua dimensione seconda, eco e rima riflessa della luce diretta e solare del luogo divino della musa. Al di là del bene e del male, il luogo di venerazione alla divinità è l’estasi della poiesis, la meraviglia immutabile e ineffabile del senso della parola, che invece muore e rinasce inesauribile per la sua celebrazione.

Il pianto di Orfeo

Tu sei libera,

come le onde del mare.

Non posso descriverti in un verso,

ma se un giorno mi vorrai amare,

io, anche fra cent’anni ti amerò.

 

Fu il geloso Zeus a spaccarci in due,

ma se il destino ci vorrà riunire,

io, dovessi vivere centodue

vite, ti aspetterò.

 

Tu, fortunato mortale,

che hai trovato in questo mondo

una persona che ti sa amare,

ti prego non lasciartela scappare;

non si incontra l’anima giusta

in tutte le vite.

Non puoi perderla per una svista,

altrimenti piangerai per sempre la tua Euridice.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Il pianto di Orfeo” di Sebastiano Nicolò Maria Mazzini

 

La parola devota del Mazzini è monito al riconoscimento del valore incommensurabile dell’amore, quale sentimento orfico ineffabile alla coscienza, di cui non si può avere visione diretta, ma rimando implacabile e differimento nel segno metaforico. È l’amore della memoria immemoriale dell’unità archetipica, la sensazione inestinguibile di mancanza dell’infinità perduta.

Il faro

C'è una torre a picco sul mare

dove s'infrangono onde di sale.

Una torre in mezzo agli scogli

dove non crescono mai germogli.

 

C'è un uomo sopra la torre

che solo la vita trascorre.

Non è un Dio né una bestia selvaggia

né un monaco che la chiesa omaggia.

 

È un poeta, con l'orizzonte negli occhi

e una musa nel cuore,

che non sa che farsene del suo amore,

così sul sospiro delle onde cerca

parole che diano forma al suo dolore.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Il faro” di Sebastiano Nicolò Maria Mazzini

 

La parola rimata del Mazzini incanta la solitudine umana del poeta, nella sua dimensione mediana fra animalità e deità, una condizione seconda e riflessa, una costituzione mancante, una visione d’orizzonte al limite dello sguardo fra la terra e il cielo, affidando al mare, archetipo dell’inconscio, il dolore ineffabile, per la sua sublimazione lirica all’oltre di sé all’altro, all’incontro della verità.

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