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Sibilla Fanciulli

Critica in semiotica estetica dell’Opera “Geheimnis” di Sibilla Fanciulli

 

L’ermetica fotografia della Fanciulli offre una configurazione della visione culturale cosciente. L’occidentale e frammentato punto di vista divide l’unità psicofisica ed entro questa Spaltung (scissione) guarda alla platonica negazione del corpo per l’esaltazione del trascendentale, maschera dell’io. Parallelamente l’artista rivela che, nel grembo delle ombre, nell’inconscio della figurazione e al di là delle differenze di cultura e di coscienza, sia l’incoglibile dell’archetipico fiore junghiano, Geheimnis der goldenen Blüte, il segreto della sintesi della dualità, ulteriore della forma, apertura dell’identità al Sé, nell’individuazione.

Critica in semiotica estetica dell’Opera “Rouyâ” di Sibilla Fanciulli

 

La sensibilissima impressione fotografica della Fanciulli è dialogo con la natura, che al respiro d’apertura sinestesica dello sguardo diviene il monologo dell’interiore assoluto, nella sfumata fusione all’oggetto naturale. Perfettamente bilanciate, le luci e le ombre del romantico cammino solitario dell’artista creano il movimento dell’istante, in divenire embrionale oltre l’apparenza, al sogno nascente di possibile ulteriore, al richiamo alla libertà dell’intima e silenziosa eccedenza al mondo. È una rêverie oltre le differenze, per un’evocazione e connessione simbolica, varco per una Übertragung (traslazione), che conduca uomo e mondo alla reciproca presenza.

Critica in semiotica estetica dell’Opera “I remember” di Sibilla Fanciulli

 

Gli intimi silenzi solitari delle vedute fotografiche della Fanciulli riconducono da elementi esterni, densi

di simbolismo naturale, per sinestesia, ai paesaggi interiori del sentire più profondo: è questa la domanda sempre aperta, il varco che muove la libertà. La sensorialità si svolge e trasporta lo sguardo umorale nelle cose, dal loro interno a trovarne la voce latente, che custodisce i segreti della memoria. Sbilanciamento

e scabrosità di umido derma ambientale sono memorie inconsce dell’ontogenesi, a vivificare

e commuovere il passato in presenza.

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Critica in Semiotica Estetica dell’Opera “Che meraviglia! Così sono le mani dei santi” di Sibilla Fanciulli

 

I sensibilissimi albori chiaroscurali dell’occhio fotografico della Fanciulli imprimono la marcatura dei segni fenomenici del silenzio, del linguaggio dell’anima. L’artista coglie la dimensione visibile, che a meraviglia contiene l’invisibile, la traccia che all’invisibile rinvia, in presentificazione dell’assenza, della sostanza dei corpi segnati. La figura è sempre nome della divinità: la primitiva relazione segnica all’oggetto significato nasce nell’esperienza del sacro, soglia degli abiti linguistici. Sacrificare è fare il sacro, è segno in relazione memoriale all’oggetto del divino. Il santo è simbolo mediatore, che porta i segni e ritualmente rammemora il divino, per la partecipazione della comunità.

Sibilla Fanciulli, Aiutandolo a crescere

Critica in semiotica estetica dell’Opera “Aiutandolo a crescere” di Sibilla Fanciulli

 

Il risveglio fotografico della Fanciulli, alle mani, come aurea luce sorgente, accompagna il processo alchemico dalla inconscia nigredo disgregante della terra, genitrice universale, nell’athanòr della cura, che in amante riflessologia bacia in punta di dita-labbra-luce l’umbratile profondità della natura. È un’intima fusione di opposti complementari, infino all’attesa del ‘pomodoro’: della trasmutazione all’elisir di vita del ‘frutto d’oro’, che nutre la conoscenza.

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Critica in semiotica estetica dell’Opera “Let the sunshine in” di Sibilla Fanciulli

 

L’uomo è vitrea soglia di una visione, che dimidia l’io dal mondo, eppure la sinestesia epidermica della fotografia della Fanciulli riesce a reintegrare luce ed ombra, coscienza ed inconscio, vita diretta e vita riflessa, per una percezione di pienezza e di armonia cosmica, perché nel cuore stesso dell’ombra la sapienza risveglia un occhio e uno sguardo. Il corpo è orientamento, letteralmente volto ad oriente, all’orienza del sole, al punto cardinale della conoscenza: è la soglia in tensione di un tropismo alla luce di verità.

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Critica in semiotica estetica dell’Opera “Niente e Tutto” di Sibilla Fanciulli

 

Il dualismo fotografico della Fanciulli rappresenta gli opposti. Al cielo è la condizione nembosa e segnica dell’uomo, di costitutiva impossibilità della visione di un oggetto totale, di nullificazione sartriana della coscienza che, in relazione alla cosa, pone la cosa assentandola. Alla terra è l’oggetto in sé, nella sua pienezza fertile d’inesauribili possibilità a fiorire. Eppure, i luoghi antitetici l’artista lega al senso, nella condizione mediana fra niente e tutto, come abbraccio eternamente ritornante e in movimento infinito, per superamento della distinzione all’unità, a trovare, dell’umana verità in errore, il valore stesso della vita.

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Critica in semiotica estetica dell’Opera “Ero e sono” di Sibilla Fanciulli

 

La sensibilissima scala di grigi della Fanciulli canta la sinfonia in glissando della condizione effimera ed essente della bellezza. La tradizione giapponese esprime la poesia del tempo ultimo, quando l’apparenza sfiorisce accresce il respiro universale della bellezza. Qui l’uomo si approssima alla verità animistica della continuità del molteplice unitario. L’introspezione filosofica della caducità della bellezza inscrive ogni forma in un disegno frattale d’armonia. Eppure, il flusso dell’impermanenza si trattiene, sulla soglia memoriale, nell’impronta identitaria del transito, al lucore del senso, che risorge e reifica l’umbratile perduto.

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