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Sonia Giovannetti

Il tempo

Dov’è il tempo, se non nella memoria

che tutto lega al cerchio del durante

e l’essere fa eterno, e fin la storia

acconcia a tratto immoto del pensante.

 

Dispensa, il tempo, quella ria illusione

del viver somigliante a un proseguire,

e fa di sua apparenza distrazione

da ciò che sta e ignora il divenire,

 

giacché nel tempo ha dimora il vero

che non trasmuta né conosce mete,

ma sempre torna a sé lungo un sentiero

 

ove infinito il ciclo si ripete,

come in quel fato, amico del mistero,

che porta al riapparir delle comete.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Il tempo” di Sonia Giovannetti

 

La parola filosofica e letteraria della Giovannetti magistralmente si destreggia fra le figure dell’essere parmenideo e dell’eracliteo divenire, alimentata anche dell’ironia dei paradossi dei presocratici e delle contraddizioni, che solleva la contemporanea presenza e assenza oggettuale, della semiotica moderna.

La questione temporale è solta dalla poetessa nell’archetipo nietzscheano dell’eterno ritorno, sintesi individuativa, che rinasce la forma della verità nel ritmo e nella ripetizione, nell’arte rituale, che dà senso

e avvalora, tutto lungo la circolarità che manifesta il continuum, eterno e intatto, della vita.

L'attesa di una madre

Era il tempo dell’attesa, quello.

Ricordi, padre, il pallore del suo volto,

l’assenza di un seppur minimo sorriso?

 

E le parole, le sue parole, le ricordi?

Stanche e a grappolo cadevano

sulle distese del tempo, sopra la città dormiente.

Nulla accadeva, neanche alla luce dell’ultimo lampione.

 

Mi assopivo appena un poco. Era difficile, allora,

distogliere lo sguardo da lei che, scostando le tende,

bramava il passo del ritorno.

L’attesa permeava di grigio la fitta nebbia.

 

Povera madre, disillusa ad ogni alba.

Ancora dispensa – là nel luogo dove tace –

un mestolo colmo al figlio assente,

ancora affida il suo nome al vento complice negli anni.

Quegli anni! Debitori di vita, che non hanno nome.

Critica in semiotica estetica della Poesia “L’attesa di una madre” di Sonia Giovannetti

 

La parola mesta e dondolante della Giovannetti culla e incanta lo spazio luttuoso fra un figlio e una madre, un poco a lenire il dolore incommensurabile. Anche la natura è avvinta dal luogo materno ed in un presente eterno di veglia è investita del dolore, condiviso e partecipato, per il desiderio di catarsi.

Ogni parola stessa, figlia dell’uomo, diviene frutto vano e cadente, abbraccio di nulla, vuotata di oggetto

e di senso: il tempo della guerra non ha nome, perché nome è abbraccio di vita.

L'ultima promessa

Ora è solo un fremito.

M’appare la mia vita,

che fa rumore, anche se tace.

Ho trasmigrato anch’io

con la sacca vuota, carica del vento

di un campo già spremuto.

Eppure resta il suono

dei panni stesi al sole,

musica di un rimpianto

che non si estingue. 

Furtivo anche a me stesso

attesi il giorno del disgelo per partire.
Tacendo il dolore,

con le prime luci dell’alba,
m’arrampicai sul filo

spesso del futuro.
Ero certo di tornare.

Mio padre è ancora là,

col bastone in mano

a tracciare linee sulla polvere rimasta.

Al calar della sera appende al gancio

l’ultima mia promessa:

saremo ancora insieme

a toccare l’approdo.

Critica in semiotica estetica della Poesia “L'ultima promessa” di Sonia Giovannetti

 

Nostalgica e fidente al contempo, la parola della Giovannetti segue due istanze: la memoria e la promessa. L’identità è il divenire della storia di una promessa, la fenomenologia che rinvia a un’individuazione fra sé e altro, all’approdo del divenire all’essere, ultimo, al di là di sé. La promessa è il paradigma che esprime una permanenza nel cambiamento, è un atto di senso e il progetto di estensione temporale del senso. Questo atto performativo è la volontà di costanza di un’identità mantenuta, malgrado e nonostante l’assenza, per la fedeltà alla dimensione valorale a cui attinge la polisemica possibilità di esistere nell’essere: una volontà che continua a volere, nella promessa che nasce dalla causalità e finalità reciproca.

Preludio

Era chiara allora la sera,

vista dal giardino che attraversava

le regole e l’ordine del passo osato.
Luce incandescente
con gli anni a pedalare
e il vento a spingere l’intuizione.

Come dava, quel verso, ragione

e chiarezza al preludio,
alla via che avanzava multiforme.
Come andava precisandosi a misura

il dubbio e insieme la coscienza delle cose,
il sussurro della radice fattasi strada
svaporando appena la nebbia

e incurvando l’irraggiungibile.
Così quell’eden, così
quel senso avvolto tra gli ulivi.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Preludio” di Sonia Giovannetti

 

In elegante equilibrio, la parola della Giovannetti è attesa eletta, che appronta al corpo armonico, che introduce al ludo del salto plurale. È tutto nel verso, in un moto levato e rivolto, perché prendere il verso è prender la via, in un ritmo cantato di danza. Il chiaroscuro di sintesi è alito che svela ma non definisce, che la retta invita nel cerchio, al senso del saggio lenimento dell’olivo, al luogo edenico di prima ed ultima dimora.

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