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Stefania Bison

Stupore

Tanto avrei da fare
Ma mi metto con passione e vigore
Quel melograno a sgranare
E lo stupore mi assale.
Mai ero stata a ragionare
A pensare
Di quanto fosse pregno di vita quel frutto
Che a darti quel che ti piace
Si chiude del tutto e quel che desideri
Lo devi trovare,
Ci devi sudare
Per poi assaporare
In quella tazzina
I chicchi vermigli
E il pensiero mi torna
Ai suoi fiori anch’essi così
A cui tendeva la pargoletta mano
Quel bimbo
Figlio del Poeta
Che poi andò nella nuda terra.
Il mio bimbo bimbo non era
Ma giovane uomo
Che persi una sera.
Un abbraccio a quel bimbo di allora
E mi stringo con il pensiero
Quel mio giovane uomo di ora.

 

Critica in semiotica estetica della Poesia “Stupore” di Stefania Bison

​

In eco ritornate, come a stringersi in una litania, la parola dondolante e rituale della Bison chiede al luogo simbolico della melagrana di serbare il senso del divenire della vita. È il descensus di Persefone al grembo inferno della terra, a rinascere la primavera della presenza. L’eternità dell’amore si affida al ricetto della natura, che sempre dona nuovo seme di vita.

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