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Stefano Ferro

Non lo saprò mai

Lunghi fili d'oro sorridevano
attorno al tuo viso.
Portavi un cipiglio dolce,
non ho mai rivisto altrui sorriso
pari al docile incresparsi
delle tue labbra.

 

Forse un poco o forse mai
hai pensato quei nostri giorni,
tu che hai gettato come un fazzoletto
tutte le mie lettere, tu che non ritorni.


Chissà se un'ultima voce
ti ha bussato dentro
e ti ha fatto risparmiare
dal letto dell'oblio
almeno quel braccialetto verde
come il nostro acerbo amore.

 

A volte ti penso cullare una stella
ed io che guardo quella, 
e ti sogno ancora vicino,
mentre il mio sguardo zerbino
si perde impotente sulla lapide
della tua prematura sorte.  

A volte un velo di pianto
si stende acquerello,
quasi a lasciar decantare un ricordo
che nega di andare a sfiorire
e accanto mi resta fratello. 

 

Sono trascorse tante lune
dal tempo di quel sole
e dal giorno che ti amai, 
e ancora mi strugge pensare che
qualunque cosa di noi tu abbia tenuto
o gettato, io, non lo saprò mai.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Non lo saprò mai” di Stefano Ferro

 

Di dolore e di nostalgia, la parola del Ferro vive il lutto della fine di una relazione, che introietta oggetti e spazi, che aprono valori transizionali, sinestesie aperte dei sensi, alchimie d’eternazione di istanti. Il poeta si riconosce segno di un senso comune e indivisibile, che non concepisce l’altrui rimozione.

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