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GALLERIA DI OPERE IN POESIA E ARTE CONTEMPORANEA
con Critiche in Semiotica Estetica di Fulvia Minetti
Tommaso Caruso
Danza
Movimenti lenti sospesi nell’aria,
come coriandoli colorati,
che non toccano mai terra.
Improvvisi cambi di ritmi,
che li avvicinano e li allontanano,
sospinti dal crescere del vento.
Mani e braccia che iniziano ad aleggiare veloci,
attaccate al tuo corpo flessuoso.
Che sanno spegnersi lentamente,
allo scemare delle note.
Che sanno fermarsi all’improvviso,
quando la musica muore nel silenzio.
Nel viso le espressioni più altalenanti
accompagnano ogni inizio e fine di questi giochi.
E tu, ogni volta, come sempre, felice,
continui a danzare dentro,
con i battiti del tuo cuore affannato.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Danza” di Tommaso Caruso
La semplicità sincera della parola del Caruso è ricerca dell’essenziale, senza abbellimenti superflui e virtuosismi. La parola cerca la delineazione del movimento, perché sa che in esso si cela la sua verità, la chiave dell’emozione al mondo. La nascita del sapere è una danza, è il rituale del battere e del levare, un’origine alla materia che si ripete in figura metafisica. Il poeta non risponde alla domanda sul perché,
ma a quella del da dove: il nome originario è battito del cuore, corrispondenza al mondo, è ritmo, danza, sintonica melodia di un unico essere.
Indimenticabile
Nulla avrò dimenticato in amore.
Esperienze che mi hanno tagliato addosso vestiti di emozioni.
Per un amore volato via senza conoscere il motivo.
Per un amore ritrovato in un disperato abbraccio.
Anni in cui tutto è rotolato, si è modificato, si è fossilizzato.
Sorrisi perduti in notti di plenilunio per illuminarmi dentro.
Spensieratezza smarrita in giornate di solleone in una città vuota.
Coraggio che ha dovuto vincere il dolore.
Per riprendere ad amare.
Sofferenza che ha dovuto vincere l’infelicità.
Per riprendere a sognare.
Vago ancora per mete di cuore e di speranze in balia di onde anomale.
Non mi arrendo anche disarmato.
È troppa la voglia di rivivere sentimenti indimenticabili.
Fosse pure per un giorno.
Fosse pure per un’ora.
Fosse pure per mai.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Indimenticabile” di Tommaso Caruso
Frantumato il verso del Caruso è specchio della finitudine segnica dell’umano, della domanda al desiderio d’essere, nel sentimento dell’amore, spezzata dalla mancanza, dall’assenza di risposta. Sinestesia inconscia di sensi accesi, amore è memoria dell’origine indistinta all’alterità e al mondo. Volontà inestinguibile, l’uomo è mancanza a essere e nell’amore all’essere anela, malgrado il dolore, fosse anche la rappresentazione dell’istante mera illusione di completezza, la poiesis di un nulla, a dissolversi.
Ti amo
Ti amo.
L’ho dimenticato non so dove.
Forse sopra un cuscino, su una panchina, dietro un portone.
Sono andato in cerca invano.
Ho atteso sotto casa, davanti ad una chiesa, giù alla scogliera.
Nessuna traccia e nessuna eco.
Ho provato a scriverlo su un foglio.
Matite spuntate ed inchiostri rappresi hanno graffiato la carta.
L’ho inseguito in strada tra la folla.
Ho cercato su bocche mute il sorriso appena accennato.
Ho atteso invano che le due labbra stupite si unissero, lanciando un bacio.
Finalmente a casa l’ho gridato di fronte ad uno specchio.
I sentimenti si sono ribellati, rifugiandosi nell’animo sconsolato.
Ed il mio cuore solatio, triste ed avvilito, ha pianto l’amore introvabile.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Ti amo” di Tommaso Caruso
La parola segmentata del Caruso è la disperata sofferta speranza della ricerca di uno spazio transizionale fra sé e mondo che, investito psicoaffettivamente, ricrei la sinestesia della continuità d’amore perduta nei distacchi dolorosi della storia di vita. Il respiro dell’amore ricorda la primaria necessitaÌ€ di ricezione a condizione della possibilità di dono. Solo un grembo d’affetto nasce all’identitaÌ€ che introietta la risposta d’amore e il poeta, dall’alto della sua desolata coscienza, grida a se stesso il desiderio di desiderio.
Ricorderemo
Certo non immaginavi una guerra senza guerra.
Città prive di macerie, spettrali di giorno con ombre della paura,
illuminate di notte con luci della speranza.
Strade deserte, dove i tuoi occhi si perdono,
accompagnati dalla cieca solitudine del calpestio.
Dove la tua voce si disperde,
abbandonata dall’eco afona nell’infinito.
Silenzio assordante, che fa più rumore del baccano,
per disorientare identità sempre più sgomente,
che fa più male della confusione,
per ingarbugliare parole sempre più disperate.
Sai che comunque tutto questo passerà
e allora noi vedremo.
Vedremo nuovamente le speranze per le nostre vite,
come rami che rispuntano nei giorni di primavera.
Vedremo ancora le gioie per le nostre anime,
come gemme che riappaiono nei forzieri del cuore.
Vedremo di nuovo le felicità per le nostre emozioni,
come delfini che riemergono nel mare dei sentimenti.
E ricorderemo…
Critica in semiotica estetica della Poesia “Ricorderemo” di Tommaso Caruso
Prossima ed epistolare, la parola del Caruso è condivisione di dolore e di speranza, è produzione di un senso esistenziale, lo stesso che viene meno in muta solitudine. La rinascita della vita si affida al rituale del grembo universale della terra e al tempo circolare delle stagioni, che vince la nigredo della finitudine a vanire, perché la stagione è letteralmente la stanza seminata del cuore che, dopo la latenza iemale, rifiorisce viva l’emozione all’albedo della primavera della coscienza.
Fili sottili
Talvolta restiamo appesi a fili sottili.
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Equilibri precari da cui dipendiamo,
sfidando il precipizio nel vuoto.
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Brividi a cui affidiamo pezzi della nostra vita,
solo per cercare forti emozioni.
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Siamo podisti incerti,
per marciare su strade apparentemente sicure.
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Siamo trapezisti senza rete,
per affidare al vuoto il destino del nostro futuro.
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Gioiamo, cercando paure per vincere la monotonia,
nel respiro dell’attimo che supera il pericolo.
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Ci esaltiamo, nell’adrenalina che ci inebria,
per superare ogni nostro limite ed inibizione.
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È il rischio il nostro vangelo
a cui affidiamo le preghiere per salvarci.
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È l’alea il nostro aquilone
a cui ci aggrappiamo per emozionarci.
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Con la speranza di riprovare.
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Con la speranza di sopravvivere.
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Fili sottili, agganciati da anime inquiete.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Fili sottili” di Tommaso Caruso
Concisa, la parola del Caruso evoca l’archetipo del funambolo nietzscheano, teso al superamento dell’uomo, che abbandona le certezze della coscienza e si affida all’abisso inconscio, in un periglioso ponte di passaggio oltre se stesso. Così l’uomo cerca una transizione e un tramonto della vecchia luce del sapere, per reintegrare un’innocenza e un dionisiaco oblio, per morire e per rinascere ad una propria e personale verità di vita.
Noi innamorati
Come potremo far a meno
l’uno dell’altro in questo mondo;
che ci unisce in ogni dove,
che ci lega senza tempo,
che ci vincola per sempre.
Nel reciproco donarci,
siamo respiro di noi;
per superare aspre salite,
per ossigenarci nelle apnee più profonde,
per correre sulle vie della felicità.
Siamo crocevia di ogni sentimento
in cui confluisce un’emozione;
anche per una banalità che ci fa sorridere,
anche per uno screzio che vola via appena ci guardiamo,
anche per una giornata bigia o uggiosa in cui ci amiamo.
Continuiamo da anni e continueremo così,
dando semplicità alla nostra vita;
a cui basta una mano sulla spalla,
a cui è sufficiente un braccio d’appoggio,
a cui serve solo tenersi stretti per mano.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Noi innamorati” di Tommaso Caruso
La parola innamorata del Caruso vive il crocevia di un sacrificio di superamento del confine mancante di sé, a morire, a trovare infinità nell’altro, oltre ogni coordinata spaziale e temporale. Il vincolo all’altro è il luogo di solidità, per il raggiungimento dell’interezza e del senso del se stesso. È la composizione armonica e unitaria del riconoscimento mutale dell’amore, che suggella il dono reciproco del legame di riconoscenza.
Senza verbi
Diavolo! Sì, mi manchi,
con le tue mani addosso,
per carezze infinite,
con la tua voce suadente,
per voglie ostinate.
Non solo per una notte,
come ieri notte.
Non solo per poco tempo,
come ieri mattina.
Dove sono le tue promesse,
sciolte nelle ore d’amore?
Dov’è la tua verità,
celata nel labirinto dell’ipocrisia?
Sto male e vorrei soffrire,
conoscendo il perché.
Sono sola e vorrei rialzarmi,
vincendo ogni delusione.
Accidenti! No, devo reagire,
con la forte consapevolezza
che eri tu l’imperfetto,
con l’amara certezza
che resterai tu nel passato.
Non certo per un presente
senza un barlume di futuro.
Non certo per un condizionale
piegato al tuo imperativo.
Il tuo “Amanti per sempre”,
tra passato prossimo, remoto o futuro,
non avrà mai verbo per noi e per me,
ormai declinati verso l’oblio.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Senza verbi” di Tommaso Caruso
Dolente la parola del Caruso percepisce dell’amante l’aggressività effimera a morire del principio di piacere, a dispetto del desiderio inesauribile nel tempo del principio di realtà, che è estensione e rimando nel significato, nel progetto di futuro. L’amante vive la superbia narcisista di chi proietta di sé sull’alterità, attribuita quale oggetto transizionale e inutilmente s’illude di riconquistare l’infinità primaria di sé perduta.