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Umberto Di Pietro

Sere di maggio

Tardo, quel tempo, ormai sì lontano

Trascorso nella quiete di silente borgo

Belli, i ricordi, che in mente mia allocano,

Serate di maggio, che più non torneranno

L’usar sedersi della propria casa all’uscio,
A smaltir del giorno andato il caldo,

E diurno faticoso operar ne’ campi.

Tutto era silenzio, di tanto in tanto, una
Melodia di voci.

In adorne edicole, da cero Illuminate,
Si usava cantar alla Madonna
Un salmo

Soave profumo di ginestre

Da rigogliosa valle saliva
L’incrociar dell’amato
Sguardo, volto arrossiva

Altalenanti, fosforescenti lucciole,
Apparivano

Più nitide sembravano le stelle
E l’ammirar un canto che saliva
In alto

Cuor mio, or piange, nel desio intenso

D’aver ritorno a quel ch’oggi mi manca.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Sere di maggio” di Umberto Di Pietro

 

Musicale, la parola del Di Pietro accompagna fedele il tempo cadenzato che ritorna, che non conosce la fuga e la perdita, che rituale appoggia sulle fondamenta salde del valore, per un ricordo, per un riaccordo originario, per una verticalizzazione nella sacralità. La comunità è invocazione e celebrazione, ogni gesto è la salmodia di un segno che rammemora il divino, per l’oggetto di vita eterna. L’edicola è ‘aedes’: il luogo costitutivo dell’ardenza del sacrificio della vita, che al singolare è casa e al plurale, nella condivisione del senso, è tempio mariano che a Dio rifonde.

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