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Veronica Manghesi

Chiedimi

Chiedimi
del posto delle parole,
dei fulmini sotto la lingua,
dell’assordante dirugginìo
che precede la forgia che modella,
il battito per la creazione
prima che evapori il pensiero.
Chiedimi
dell’origine del verbo,
del bianco petto,
delle brune essenze ventrali,
del folle tempo di una poesia folle
di conchiglie fra i capelli
nella pausa soave dell’alba.
E dimmi
che colore ha il sangue
se uno slancio di vita lo coglie
sversante in fiotti su carta lattescente,
se sussurra la rima di un sospiro,
di un fruscìo di allodola bionda
accucciata sul muretto.

E dimmi
il sapore della tua bocca
immersa in questo filo di voce.
Questo io so: nasce
dal roveto delle corde vocali
l’umore di roride more
livide, in una zèfira sera
di nembi corrivi.

 

Critica in semiotica estetica della Poesia “Chiedimi” di Veronica Manghesi

 

Libera, imperativa, allitterante, la parola musicale della Manghesi cerca la sua genealogia sonora, tonica, emotiva, fino alla fusione fremente all’elemento e alla natura, ad essere il battere del proprio levare, l’anonimia plurale artefice del dire. La poetessa cerca il sacrificio del segno metafisico duale e riflesso, bionda allodola, la disperata speranza dell’oltre negato, come sole allo specchio, per il sapore primo della conoscenza, che rifonde l’io al tu in un bacio coessenziale, all’unità molteplice e rubea della mora o Rubus Rosaceae, del sangue divino che rigenera l’uomo e l’espressione.

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