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GALLERIA DI OPERE IN POESIA E ARTE CONTEMPORANEA
con Critiche in Semiotica Estetica di Fulvia Minetti
Vincenzo Ricciardi
nel passare
… nel passare e fu anche parola
quanto mai non creduto, accanto
al limbo, attesa senza esito
quasi immobili senza sviluppo senza
suoni chiari intendibili intellegibili
passò passò come sovrasta la montagna il vuoto
che si crea tra notte e costellazioni inattese
vedemmo stelle poi non più comparse
algidi segnali che la volta
per un poco graffiarono, poi sparvero
non registrati e quindi mai avvenuti
ma gli occhi ne conservavano un frammento
un movimento aderente
al percorso non calcolabile
che ci aveva sottratti al giorno
ah come cantava adesso libero
ora che non c’era timore di alcuna eco
ora che veramente il tempo si era chiuso
sopra una mano
chi prima di noi ha così in alto levato lo sguardo
e chi ha trovato tracciato un passaggio
nel cuore stesso del tempo
del cielo – nubi enormi incedevano
noi con molta chiarezza fummo
presenti
avvicendandoci con il dopo e il dopo del dopo
finché fu tutto un solo volo un solo
distendersi vicino al vento delle braccia
le dita aperte come segnali
di immediata partenza, o rocce
limitavano certi percorsi, davano
una forma apparente a quanto si udiva
al difficile linguaggio del volgersi
del mondo, solo pochi capivano
fu facile uscirne, impossibile
ricordare
Critica in semiotica estetica della Poesia “nel passare” di Vincenzo Ricciardi
Il poetare onirico del Ricciardi è mai spezzato filo d’Arianna, per il viaggio, in medias res, dell’uomo precategoriale e plurale, che procede ad incontrare il mondo. La parola transitiva e transitoria del poeta
è nocchiera e trasporta da un presente progressivo a un passato remoto e immemoriale, incantatoria e inarrestabile, quasi a trattenere un istante ancora i modi transeunti della verità, sebbene conscia del suo destino d’impermanenza, miscredenza, precarietà, della sua irredenta condizione limbica, a margine
del vuoto di un altrove. Eppure il viaggio rituale e rifondante dell’autore conserva un frammento di senso irriflesso, in sinestesia, alla coscienza, che si dà in un “movimento aderente”, al supporto del continuum, alla presenza dell’essere, alla dimensione prima e archetipica, al luogo in cui il tempo nasce dai sensi
e muore il doppio e l’errore.
Prima del diluvio
ruotano i giorni a brevi vortici
appena intaccati dal verde
sguardo dell’acqua: verrà pure
altro intersecato di parole
estranee, come scie di luce smarrita
come un respiro invisibile
– grigie aurore
è l’autunno addentrato
negli ultimi boschi, è il passo
di un innocuo animale
tra le felci, le spine –
piccole trame
a protezione di sentieri antichi
pochi conoscono questi passaggi nascosti
e la tua mano come indicava imprecisa
direzioni di tempi lontani, dimenticate
mentre la vita ci passava di fianco
senza proteggerci
​ ***
quest’altra notte, che venga
inattesa
ne fu la pace, volti che fummo
noi pure allo sporto
che cercavamo tra i rami prossimi, in fondo
da dove la luce intatta avrebbe segnato un sottile
solco
avvicinati
i pensieri e le dita
all’apparenza del vano, fuori
da noi erano – taciturne –
quelle tracce di anime
con il loro lievissimo
sorridere.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Prima del diluvio” di Vincenzo Ricciardi
La parola chiaroscurale del Ricciardi è luogo diveniente di consunzione al transito, al vacillare sbalzante, fra dimensione familiare ed estranea, lungo il filato che inarrestabilmente getta alle cose, in una tensione
di ricerca dell’uomo, desostanziato da se stesso, relazionale all’alterità, sempre traslato dalla vita instante, all’apparenza orfana della propria origine e condannato al segno che aggetta alla soglia mai pienamente dischiusa dell’oltre, all’oblio, alle acque della nascita, della morte.
strade
Il raggio che la guglia interrompe,
la breve ombra della nube:
è il tuo stupore questa memoria viva
che cresce e sopra i muri con amore furente
s’avventa lieve e taglia
piazze e strade e canali, avvinghiata
a una spirale
fragile, a una voce
trasparente, ah come si riflette
il suo canto d’argento nel sole
come si volge e di sé copre ed ammanta
ogni parola cessata, ogni porzione di tempo:
queste preghiere
passano accanto al destino e lo delimitano.
Alzati dunque anche tu
senti come è leggero il cielo quando le nostre braccia lo attraversano.
Critica in semiotica estetica della Poesia “strade” di Vincenzo Ricciardi
Continua, la parola del Ricciardi è il movimento archetipico, che abita e sposa il molteplice divenire formale e alimenta la meraviglia dell’uomo. Allora le strade si fanno raggi e memorie e voci e vento e senso oltre le parole e tempo oltre il tempo e preghiere d’eternità. È la sinestesia che vince ogni restrizione di spazio in amanti braccia tese, al moto irrefrenabile della poesia, che sconvolge anche l’immobile fermezza legiferate del destino.